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lunes, 27 de marzo de 2017
«Le benedizioni religiose a scuola sono legittime»
I giudici: «Il rito, fuori dall’orario scolastico e facoltativo, non incide sulla didattica». Ribaltata decisione del Tar. La polemica un anno fa, finita anche sul New York Times
di Elena Tebano
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Il Consiglio di Stato rovescia la decisione dello scorso anno del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna e dà il via libera agli atti di culto a scuola, purché la partecipazione sia facoltativa e soprattutto avvengano fuori dell’orario scolastico. La sentenza riguarda una vicenda che aveva suscitato polemiche ed era arrivata anche sulle pagine del New York Times: il ricorso di un gruppo di insegnanti e genitori dell’Istituto comprensivo 20 di Bologna contro la delibera che stabiliva di far benedire le scuole dell’istituto (le elementari Carducci e Fortuzzi e la media Rolandino).
Il caso
A proporre le benedizioni, a inizio 2015, non erano stati né i genitori né i docenti ma i tre preti delle parrocchie in cui si trovano le scuole. Il 9 febbraio il Consiglio di istituto, allora presieduto da Giovanni Prodi (padre di un alunno e nipote dell’ex premier Romano), aveva dato il via libera e a quel punto 11 insegnanti e 9 genitori, sostenuti dal Comitato bolognese scuola e Costituzione, avevano fatto ricorso d’urgenza al Tar appellandosi alla sentenza del 1994 dello stesso Tar emiliano che proibiva atti di culto in orario scolastico.
I giudici amministrativi avevano dato loro ragione (anche se le benedizioni c’erano state lo stesso perché il Consiglio d’istituto a sorpresa le aveva anticipate a prima dell’udienza) sostenendo che i riti religiosi fossero «attinenti unicamente alla sfera individuale» ed «estranei ad un ambito pubblico».
Nelle scuole
Contro quella decisione ha fatto appello il ministero dell’Istruzione. Ora il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sesta Sezione, lo ha accolto, ma precisando che «la partecipazione a una qualsiasi manifestazione o rito religiosi (sia nella scuola che in altre sedi) non può che essere facoltativa e libera» e che questi non possono «in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica», ma devono essere trattati come le «diverse attività “parascolastiche” non aventi alcun nesso con la religione». I giudici aggiungono che per il «principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un’attività una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima».
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